lunedì 30 novembre 2009

La Comunidad, di Alex De La Iglesia (2000)


Julia è un'agente immobiliare, che cerca di vendere l'unico lussuoso appartamento di un palazzo fatiscente. Non trovando acquirenti, la donna si insedia nell'appartamento. Quando improvvisamente il soffitto cede a causa di una infiltrazione d'acqua, Julia scopre il cadavere di un uomo morto in solitudine assieme ad una mappa per recuperare oltre 6 miliardi vinti al totocalcio. Dopo aver trovato la fortuna dell'uomo, la donna cerca di portarla fuori ma presto scoprirà che gli abitanti del condominio (i quali avevano partecipato alla giocata della schedina vincente senza aver mai riscosso la vincita) non sono disposti a separarsi dalla loro fetta di bottino e cercheranno di accaparrarsi la fortuna di Julia con qualunque mezzo, anche a costo di uccidere.


Il condiminio è un tipico concetto allegorico di crogiuolo di bassezze umane, (vogliamo parlare dell' exemplum maximo Polanski, che ha dedicato ben due trame, forse i suoi capolavori, Rosemary' s Baby e L' inquilino del terzo piano al tema?) in esse comprese l' ipocrisia, la scarsa discrezione, l' avidità. De La Iglesia, mestierante dell' horror ispanico le riassume in un grottesco quadro claustrofobico, deliziosamente narrato in climax ascendente, superlativamente condotto da Carmen Maura. Vera mattatrice della pellicola. Horror e commedia intrecciate e spinte al paradosso del verosimile. Il riso, lievemente amaro, esoricizia lo spauracchio (ma anche un luogocomune) di molti: il vicino ti odia. Michele Baldini

Nero condominiale mediterraneo: tre parole che possono sembrare combinarsi male, ma nella mente del basco de La Iglesia prendono senso ben compiuto. La gioia di un tredici al totocalcio divenuta croce di una vita intera è il prologo di una storia che parte come una commedia verbosa spagnola anni '90, che con un crescendo esponenziale di ritmo e situazioni grottesche sfocia nell'auto-massacro finale. L'autore punteggia le nevrosi e la caduta dei sogni del consumismo in una surreale critica alla società metropolitana occidentale, non risparmiandosi discese nel guiniol puro. L'insieme è legato da una Carmen Maura a due velocità come l'andamento del film e da un gruppo di attori che riesce a rendere al meglio l'idea di associazione a delinquere di stampo condominiale.SOCIALMENTE UTILE. Enrico Prosperi



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lunedì 23 novembre 2009

Non si Sevizia un Paperino, di Lucio Fulci (1972)

"Crescono, sentono lo stimolo della carne,
cadono in braccio al peccato:
bisogna impedirglielo!"

Ad Accendura, paesino immaginario della Lucania, si consumano efferati delitti di bambini. Gli indagati, compresa una fantomatica "maciara" si riveleranno tutti innocenti. Saranno un giornalista e un' avvenente signorina di città (anche lei tra i sospettati) a scoprire il vero e insospettabile assassino.


Inutile spendere molte parole su quello che può essere considerato il capolavoro di Lucio Fulci. Una rivoluzione nel genere. Per ambientazione, storia, effetti, coraggio. Indimenticabili le scene con Barbara Bouchet nuda davanti al bambino che le porta da bere e la lapidazione della Maciara con il commento sonoro di Ornella Vanoni. Un film non capito all' uscita (soprattutto dalla critica) e non ancora del tutto capito adesso, che ha fatto scuola e continuerà a farla. Michele Baldini

La provincia remota diventa teatro dell'orrore; Fulci sintetizza le controversie del boom economico e distilla un giallo bucolico e provocatorio prendendo le distanze dagli schemi del periodo. Argomenti da prendere con le molle: religione e superstizione che vanno a braccetto, arretratezza del sud, pulsioni sessuali preadolescenziali, la malcelata omossessualità e pseudopedofilia dell'assasino, che per giunta è un prete. "Il terrorista dei generi" prima di colpire i nostri occhi (come sua abitudine), crivella la nostra morale cattolica con una storiaccia che a tutt'oggi sarebbe demolita dalla critica. Sequenze di culto a iosa, su tutte il supplizio della Bolkan sulle note di Ortolani-Vanoni. Cast di guerriglieri di genere in palla. CAPOLAVORO. Enrico Prosperi


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lunedì 16 novembre 2009

Detour, di Edgar G. Ulmer (1945)

"Assassino... che parola terribile!"

Al è un pianista di new york che decide di seguire la fidanzata partita per hollywood alla ricerca di una carriera nel cinema. Intrapreso il viaggio in autostop riceve un passaggio da un certo Charles Heskell. L' uomo morirà per cause naturali lungo la strada, ma Al, impaurito, in preda alla paranoia, tenterà un' improbabile fuga sulla via della quale incontrerà Vera, impersonificazione della femme fatale...

Prima de "L' uomo che non c' era", "Piccoli omicidi tra amici", prima di "Fuori Orario", di tutto il noir di concezione contemporanea, ma soprattutto di Sartre e Camus, c' era Ulmer. Misconosciuto per più di cinquant' anni. Regista operaio dell' era classica, trattosi fuori dal giudizio "senza infamia e senza lode" con due perle. Una è questa, l' altro "The Black Cat" di due anni prima. Ascesa e declino di un sogno (americano) tradotto in filogenesi dell' accanimento del destino, trattato con i principi essenziali del cinema: narrazione, fotografia, montaggio. Nient' altro. Manifesto (pre)esistenzialista dell' esistenzialismo. Michele Baldini

Fare cinema con 4 set, 5 attori, 6 giorni e tanto talento. Ulmer regala un caposaldo del noir ribaltando i cardini del genere fino al paradosso. Discesa all'inferno di un uomo qualunque guidata da "deviazioni" fortuite; spinge alla riflessione sull'influsso del caso sulla vita comune con l'uso totale del flash-back che innesca la narrazione fuori campo rendendo il tono intimista, venato di paranoia. Lo stile scarno rende la confezione sobria ed elegante e alcuni simbolisimi rivelano le origini europee dell'autore. 65 minuti di assurdo-possibile. GIOIELLO. Enrico Prosperi



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lunedì 9 novembre 2009

Lupin III - Il Castello di Cagliostro (Rupan sansei: Kariosutoro no shiro), di Hayao Miyazaki, 1979

"Fin dai tempi del Medioevo c'è sempre stato qualche grosso falsario,
che col suo denaro minacciava l'ordine costituito. [...]
L'uomo dietro questo storico evento è sempre stato qualcuno della dinastia del caprone."

Lupin è alla ricerca dei leggendari falsari della dinastia del Caprone, da sempre feudatari del piccolo paese di Cagliostro. Il caso gli farà incontrare la principessa Clarisse, futura sposa del Conte di Cagliostro. L'ultimo discendente del Caprone è alla ricerca del tesoro segreto della sua famiglia e per trovarlo ha bisogno dell'anello di Clarisse.

Il genio di Miyazaki prende in mano una storia senza capo né coda, guidata solo dai collaudati personaggi, veri e propri "divi" dell' animazione, trasformandola in un travolgente circo di trovate, visioni e colpi di scena ai limiti dell' immaginabile. La solita cifra del maestro è quella dell' esotizzazione della cultura occidentale, che fa accostare un castello sulle Alpi alle rovine di Roma, la solita impeccabile predilezione per prati verdi e congegni meccanici e una estrema licenza poetica in quanto a riferimenti storici. La missione più difficile era dare un messaggio di legalità attraverso una storia che aveva come protagonista un ladro e paradossalmente, il segno è colto. La sobrietà è messa da parte, ma il gusto è sopraffino. Michele Baldini

Le avventure di Lupin secondo il maestro Miyazaki. Primo lungometraggio (1979) diretto e sceneggiato dal fondatore degli studi Ghibli, che già ha in sé le tematiche portanti della successiva filmografia. Il canovaccio noir-fantasy è il trampolino di lancio per dar sfogo alla straripante immaginazione del genio dell' animazione giapponese; il racconto non dà sosta allo spettatore in una ridda di trovate geniali, siparietti esilaranti che stemprano la violenza, architetture fantastiche e la natura incontaminata tanto cara al regista. Si ha la sensazione che tutto sia possibile in questa fiaba. Si accettano con naturalezza le evoluzioni più improbabili e le letture storiche più strampalate. SENZA TEMPO. Enrico Prosperi.



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lunedì 2 novembre 2009

Lucca Film Festival 2009, Intervista a Umberto Lenzi

"I miei film erano semplicemente il termometro
che misurava la violenza metropolitana del periodo"


Cinephagus si avventura nella quinta edizione del festival e strappa un' intervista al maestro, scaricabile all' interno della puntata

Visto che certe cose coi tempi che corrono, o le si fanno per passione o non si fanno per nulla, i ragazzi di Vi(s)tanova, un' associazione che richiama sin dal nome parentesizzato un certo ascendente ghezziano (Enrico Ghezzi è dalla nascita, il 2005, una sorta di padrino dell' evento e ha saltato all' ultimo momento quello di quest' anno), hanno pensato bene di giocarsela tutta sulla passione, e darsi da fare per portare nella preziosa cittadina di Lucca pellicole e personaggi di un cinema non sempre al centro della cronaca.
Dopo numerose incursioni nel mondo prettamente underground (Tonino De Bernardi è praticamente ospite fisso, ma non sono mancati negli anni scorsi i vari Kenneth Anger & co. del New American Cinema, il georgiano Kobakhidze, e altro ancora) quest' anno i numeri sono effettivamente quelli da festival di serie A, Andrea Bernardini, codirettore del collettivo che organizza il festival ci racconta gli appuntamenti portanti di questa edizione: Robert Cahen, videoartista francese eclettico e influentissimo attivo dagli anni 80 e un omaggio assolutamente completo all' attore Lou Castel, presente con tutta la sua filmografia essenziale, suggellato dalla proiezione di Orgasmo alla quale partecipa Umberto Lenzi (i due non si vedevano da oltre quarant' anni), da noi intervistato per Cinephagus.
Altrettanto importante la rassegna Sable Noir che ha visto proiettati numerosi film del recente boom di produzioni horror e noir francesi (in rassegna tra gli altri Regarde La Mer di François Ozon, Carne di Gaspar Noé e l' atteso e discutissimo A l' Intérieur di Alexandre Bustillo e Julien Maury). Hanno inoltre collaborato per la cura dell' edizione di quest' anno la Prof.sa Sandra Lischi dell' università di Pisa per la retrospettiva su Cahen, e Manlio Gomarasca e Gianluigi Perrone di Nocturno.
Ottimo e completo anche il catalogo (in vendita a 14€) in cui compaiono numerosi e autorevoli contributi per spiegare meglio la dimensione e i contenuti di questo Lucca Film Festival 09.

Dopo l' autobeatificarsi (con innegabile merito) di Umberto Lenzi, e la forma fisica non più smagliante di Lou Castel, e quindi una certa dose di nostalgia, (entrambi presenti in sala introdotti da Gianluigi Perrone di Nocturno) la visione di Orgasmo, film del 1969, con protagonisti lo stesso Lou Castel e l' americana Carroll Baker ci doveva riservare ben più sorprese. Un thriller più fiacchino dei soliti del maestro, eppure da lui medesimo decantato come “Il film italiano più venduto in America”. Sono più che altro la bellezza "demodé" della Baker e le musiche di estrema sensualità barocca di Piero Umiliani a trascinare una storia che, tirata per quasi due ore, è, sinceramente, da sbadigli. Ma come dire, c' era da aspettarselo. Chi è tagliato per l' azione mal sopporta il carattere troppo sfaccettato nei suoi personaggi e tende a farli o bianchi o neri. Tutto ok nei polizieschi, spesso imbarazzante nei thriller psicologici.
Discorso a parte per il ginecologico A l' Interiéur. A Cannes, nel 2007 aveva fatto alzare la giuria a metà proiezione. Forse non ci aveva fatto lo stomaco. C' è un' estetica in tutto questo in fondo. Si chiama masochismo. E poi le trovate ci sono e il ritmo (tutto suo) anche. Il dubbio però alla fine resta: L' ironia c' è (e allora evviva lo splatter) o no (e quindi la violenza genera violenza, se non altro visiva, cioè puro fastidio)? Michele Baldini

Serata da ricordare al Lucca Film Festival, edizione 2009. La flotta di Cinephagus salpa verso la città delle mura con le vele gonfie dal vento dell'entusiasmo: il programma è dei piu' esaltanti.
Proiezione di Orgasmo (celeberrimo sexy thriller datato 1969), presentato direttamente dal mitico maestro Umberto Lenzi (regista) e dall'attore della ribellione sessantottina Lou Castel (protagonista), mai più rivisti dalla fine lavorazione della pellicola, a seguire visione di A l'interieur, bandiera della nouvelle vague dell' horror francese, già rinomato per aver provocato lo sdegno della giuria del festival di Cannes nel 2007, roba da cinephaghi.
L'accoglienza degli organizzatori è la piu' calda e disponibile che ci potevamo aspettare e in cinque minuti siamo al cospetto di uno degli inventori del poliziottesco e decano dei mille genreri cinematografici.
Umberto Lenzi ci concede l'intervista che trovate più avanti e non smentisce la sua fama di personaggio sopra le righe. Unico nel suo genere.
Durante la sopracitata presentazione colpisce la figura di Castel che possiede ancora il carattere contraddittorio del periodo e dei personaggi che ha incarnato sullo shermo: un uomo che nell'aspetto porta i segni di mille avventure cinematografiche e non, ma che mantiene tuttavia una forma di riservetezza introspettiva, quasi una sorta di insicurezza che lo rende a tutt' oggi un personaggio enigmatico come ai tempi d'oro, e al contempo stride con la personalità del protagonista che vedremo pochi istanti dopo intrerpretato nel film.
Esperienza rivelatoria è stata vedere la pellicola praticamente a pochi metri dall'attore, seduto in mezzo al pubblico: man mano che la proiezione andava avanti c' era la sensazione che la persona in sala, sentita parlare poco prima, avesse sempre meno cose in comune con quella proiettata. A rivelare appunto che, a differenza del pensiero comune, il film non fosse una fotografia del periodo in cui è nato, ma una sorta di bivio, di snodo ferroviario dopo il quale si sono sviluppati due binari paralleli: la realtà "vera" e la realtà "artefatta" del cinema, che vanno avanti nel tempo, ma con modalità diverse e con esiti a volte diametralmente opposti. Pur tornando, in serate come queste, ad incrociarsi per la durata di una visione, confrontarsi e poi riprendere i propri cammini.
La possibilità di specchiare un attore con uno dei suoi doppi è cosa preziosa e di questo dobbiamo ringraziare i ragazzi dell'organizzazione del festival.
Altra chicca è stato Inside (A l'interieur in lingua originale), una delle ultime fatiche della scuola dei "tremendi" francesi, thriller-mattanza che per tre quarti mette a dura prova i nervi e lo stomaco degli spettatori, per perdersi in un finale di inverosimile ridicolo da decifrare se involontario o no. Ottimo dubbio per il finale di serata. Enrico Prosperi



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