lunedì 16 novembre 2009

Detour, di Edgar G. Ulmer (1945)

"Assassino... che parola terribile!"

Al è un pianista di new york che decide di seguire la fidanzata partita per hollywood alla ricerca di una carriera nel cinema. Intrapreso il viaggio in autostop riceve un passaggio da un certo Charles Heskell. L' uomo morirà per cause naturali lungo la strada, ma Al, impaurito, in preda alla paranoia, tenterà un' improbabile fuga sulla via della quale incontrerà Vera, impersonificazione della femme fatale...

Prima de "L' uomo che non c' era", "Piccoli omicidi tra amici", prima di "Fuori Orario", di tutto il noir di concezione contemporanea, ma soprattutto di Sartre e Camus, c' era Ulmer. Misconosciuto per più di cinquant' anni. Regista operaio dell' era classica, trattosi fuori dal giudizio "senza infamia e senza lode" con due perle. Una è questa, l' altro "The Black Cat" di due anni prima. Ascesa e declino di un sogno (americano) tradotto in filogenesi dell' accanimento del destino, trattato con i principi essenziali del cinema: narrazione, fotografia, montaggio. Nient' altro. Manifesto (pre)esistenzialista dell' esistenzialismo. Michele Baldini

Fare cinema con 4 set, 5 attori, 6 giorni e tanto talento. Ulmer regala un caposaldo del noir ribaltando i cardini del genere fino al paradosso. Discesa all'inferno di un uomo qualunque guidata da "deviazioni" fortuite; spinge alla riflessione sull'influsso del caso sulla vita comune con l'uso totale del flash-back che innesca la narrazione fuori campo rendendo il tono intimista, venato di paranoia. Lo stile scarno rende la confezione sobria ed elegante e alcuni simbolisimi rivelano le origini europee dell'autore. 65 minuti di assurdo-possibile. GIOIELLO. Enrico Prosperi



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