lunedì 18 gennaio 2010
Wampyr (Martin), di George A. Romero (1978)
"Non accade mai come nei film,
ho visto film dove succhiano sangue tutte le notti,
questo è pazzesco!"
ho visto film dove succhiano sangue tutte le notti,
questo è pazzesco!"
"Vuoi dire che i film non sono reali?
Ma tu così ci distruggi un mito!"
Ma tu così ci distruggi un mito!"
Martin è un vampiro post adolescente che viene ospitato dal suo devotissimo cugino, Dada Kuda, molto più anziano di lui per scacciare la maledizione che lo condanna. Il nemico principale del ragazzo è però l' incomprensione, dalla quale trova scampo solo quando parla nottetempo con lo speaker di una radio e intraprendendo una relazione con una casalinga sola e sfruttata della cittadina, Braddock, Pennsylvania. Il finale sarà tragico.
Incredile tappa "non-zombie" del cinema di Romero, qui nella versione italiana nella quale cambia titolo (da "Martin" a un più domestico "Wampyr") e musica (da Rubinstein ai Goblin) ed è montata da Dario Argento. Un film splendido, in cui convivono le emozioni più forti dell' uomo, ovvero l' amore e il terrore, costruito su inquadrature precise e statiche con una narrazione impalata sul piede di partenza. La suspense alimentata di continuo che implode, nel nulla, spiazzando chi guarda. Citazioni cinefile abbandondanti e nelle righe, l' impegno politico, consueto, del regista, contrario al bigottismo cattolico e all' ipocrisia reazionaria della provincia convive con una lucida e spietata analisi del mondo interiore postadolescenziale, passando anche per il "mercato delle emozioni" fatto dai media e una sana dose di morbosità sessuale, mai più comparsa, almeno in modo così evidente, nei successivi lavori di Romero. Un film con mille domande e nessuna risposta. Perfetto John Amplas (vampiro o umano?) nella parte del protagonista. Doppiamente capolavoro, perché realizzato in casa, con familiari e amici a costi minimi. Michele Baldini.
Il vampiro come malato, o meglio alienato essere avulso dalla realtà. Con questi presupposti Romero gira il suo film piu' "europeo", piu' ermetico, decisamente disturbato. Il papà dei morti viventi si muove su tre piani di realtà diversi: il presente in cui il Martin del titolo originale vive e opera come un necrofilo con la passione per il sangue ed un' inusuale compassione per il dolore delle vittime, il passato/allucinazione fissato in splendidi inserti in B/N d'autore, le telefonate alla radio che svelano l'intimità perversa e labile del protagonista. Non sapremo mai se Martin sia un vampiro o no, ma non importa; importa che non è un superessere, ma un emarginato, un paranoico, rifiutato persino dai parenti, che non fa paura, ma vive in essa diventando predatore sfuggente e subdolo che opera con metodi vigliacchi, guidato da visioni o forse suggestioni cinematografiche. Su questo impianto in prima persona si snodano diverse sottotracce; critica all'estremismo religioso (lo zio Cuda fervente cattolico si rivela piu' sanguinario di lui), satira sul genere horror stesso (Martin travestito da conte Dracula irride lo zio in un siparietto da film muto e Romero stesso interpreta un prete sui generis che sbeffeggia "L'Esorcista"), disgregazione della società (gli altri comunque sono arroganti o preda delle loro ossessioni). In summa il prodotto risulta di ottimo livello grazie ad una produzione a gestione familiare che permette al regista un controllo artistico totale (regia, montaggio, fotografia), ritmo angoscioso (si rimane sempre sulla corda attendendo un "esplosione" che non arriva mai), tagli d'inquadratura che alternano momenti simmetrici a sguardi sbiechi comunque sempre claustrofobici e desolanti anche an plein air e l'erotismo distorto di fondo vero leit-motiv del film. Fortissime e disarmanti le scene di apertura in medias res ferroviaria, del pluriomicidio in villa borghese centrale ed il violento e fulminante finale. John "Martin" Amplas è semplicemente inquietante. Evitare versione italiana. PERLA NERA.
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